Recentissima è la notizia che un noto gioielliere pisano ha ucciso con un colpo d’arma da fuoco il rapinatore che era entrato armato nel suo negozio con il preciso intento di rapinarlo.
L’episodio ha riacceso il dibattito sul controverso istituto della “legittima difesa”: la maggior parte degli italiani si è già schierata dalla parte del gioielliere, considerando assolutamente comprensibile e quindi giustificabile la reazione dallo stesso, ma se il cittadino è libero di assolvere o condannare taluno anche solo sulla base di principi morali, l’operatore del diritto ha l’obbligo di applicare la legge.
Infatti, difendersi da un’aggressione è legittimo solo quando sono soddisfatte tutta una serie di condizioni prescritte dall’art. 52 del Codice Penale, che ispirandosi al principio “… vim vis repellere licet …”, prevede: “… non è punibile chi ha commesso il fatto per essere stato costretto dalla necessità di difendere un diritto proprio o altrui contro il pericolo attuale di un’offesa ingiusta, sempre che la difesa sia proporzionale all’azione …”.
Ma quando un pericolo può dirsi “attuale”? Quando un’offesa può dirsi “ingiusta”? Quando una difesa può dirsi “proporzionale” all’azione?
L’utilizzo da parte del legislatore di aggettivi qualificativi privi di significato univoco e suscettibili di essere interpretati discrezionalmente, ha fatto sì che la norma in esame sia annoverate tra quelle più “imperfette” del nostro codice, e l’assenza di elementi oggettivi sui quali ancorare l’applicazione della scriminante in parola, ha permesso ai Giudici di maneggiare l’istituto con assoluta libertà, finendo per addivenire a sentenze spesso in conflitto l’una con l’altra, rendendo così il futuro processuale di chi spara per difendere se ed i propri cari, assolutamente incerto.
Dal punto di vista processuale, chi pone in essere una condotta idonea ad integrare una fattispecie delittuosa (nel caso che ci riguarda, aver provocato la morte del rapinatore), verrà iscritto nel registro degli indagati e nei suoi confronti saranno svolte indagini.
In molti, dopo i fatti di Pisa, hanno ritenuto ingiusto che il gioielliere venisse anche semplicemente indagato (per omicidio volontario), ritenendo evidente che il detto avesse agito per legittima difesa.
A parere di chi scrive, la scriminate in parola non può essere riconosciuta automaticamente solo sulla base di valutazioni “logico – morali”, poiché solo dopo adeguate indagini, o se del caso, un giusto processo, sarà possibile far luce sulle reali dinamiche del fatto e dunque valutare l’opportunità di “giustificare” una condotta penalmente rilevante.
Pertanto, nel caso in cui, dai rilievi balistici, dall’esame autoptico, dalle testimonianze, dalle circostanze oggettive di tempo e di luogo, emergesse che l’indagato ha commesso il fatto solo per difendere se od un proprio caro da un pericolo attuale di un’offesa ingiusta, e che per farlo ha posto in essere una condotta proporzionale alla gravità di quella che rischiava di subire, il PM non avrà che dare atto della non punibilità dell’inquisito, chiedendo l’archiviazione e, chi verrà prosciolto, avrà visto cristallizzata giudizialmente la propria innocenza.
D’altra parte, in virtù dell’eccezionalità dell’istituto la cui applicazione porta a non punire condotte che astrattamente integrerebbero reato, è assolutamente necessario che il detto venga applicato solo entro i propri confini di operatività, onde evitare che diventi pericolosa valvola di sfogo per tutti quelli istinti che devono invece restare estranei ad una società civile.
Prossimamente torneremo ad analizzare l’istituto della Legittima difesa, con particolare riferimento alle recenti proposte di riforma.
Avv. Lorenzo Murgia