Già i Latini, percussori del diritto moderno, parlavano di “pecunia doloris“: il diritto al risarcimento per il dolore subito dalla perdita di una persona cara. Il “danno da perdita parentale” rappresenta ormai un principio cardine del nostro ordinamento: a seguito della morte di una persona cara, verificatasi in conseguenza di un incidente causato dalla condotta illecita altrui, tutti coloro che al momento del decesso si trovavano in “relazione affettiva” con la vittima, hanno diritto al risarcimento del danno patito a causa dell’evento luttuoso che li ha colpiti.
I Giudici, in primo luogo, dovranno valutare la sussistenza del legame parentale o affettivo, il cui onere della prova grava interamente su chi agisce in giudizio per la richiesta del risarcimento.
Solo una volta accertato il legame parentale o di affinità, il Giudice, spesso con l’ausilio di un CTU (Consulente Tecnico d’Ufficio), andrà a determinare l’entità del risarcimento.
Il “quantum” risarcibile è strettamente connesso a dei fattori valutabili caso per caso:
- il rapporto di parentela esistente tra la vittima ed il congiunto superstite: si presume che il danno sia tanto maggiore quanto più stretto è tale rapporto;
- l’età del congiunto: si presume che il danno sia tanto maggiore quanto minore è l’età del congiunto superstite;
- l’età della vittima: si presume che il danno sia inversamente proporzionale all’età della vittima, in considerazione del progressivo avvicinarsi al naturale termine del ciclo della vita;
- la convivenza tra la vittima ed il congiunto superstite, si presumere che il danno sia tanto maggiore quanto più costante e assidua è stata la frequentazione tra la vittima ed il superstite.
Da ricordare come la giurisprudenza riconosca nella “potenziale solitudine” un ulteriore fattore idoneo ad influire sulla quantificazione del danno parentale: infatti, il danno derivante dal lutto è sicuramente maggiore se il congiunto superstite rimane solo, privo di quell’assistenza morale e materiale che gli derivano dal convivere con un’altra persona o dalla presenza in vita (o meglio, nella sua vita) di altri familiari, anche se non conviventi.
Ricordiamo come colui che intenta una causa per vedere risarcito il “danno parentale” agisce in “iure proprio“, cioè per vedere soddisfatto un proprio personalissimo diritto. Ci sono invece casi in cui i parenti – affini di colui che ha perduto la vita per incidente causato dalla condotta illecita altrui, potranno agire anche “in iure hereditatis“, al fine di ereditare il diritto al risarcimento maturato in capo al dante causa immediatamente prima della sua morte. Su tale tema, ci torneremo.
Avv. Lorenzo Murgia